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Silvano Gallino

Autore: il titolare del profilo

Silvano Gallino nasce a Viù (TO) il 17 marzo del 1942.

Grande appassionato di montagna ed infaticabile escursionista, insieme alla moglie Maria Vittoria. Si avvicina per caso alla mineralogia all'inizio degli anni '70 grazie ad uno spettacolare ritrovamento (diventato negli anni mitico per tutti gli appassionati) di minerali delle rodingiti a Laietto in Val di Susa (granati, epidoti, vesuvianite, clorite, apatite, diopside...ved. immagini) e ad ulteriori interessanti ritrovamenti di quarzo fumè con adularia in Val Sangone, di hematite ed albite a Signols (zona di Bardonecchia), di andradite varietà topazzolite, di magnetite ottaedrica e di tanti altri minerali caratteristici delle alpi occidentali.

IL RINVENIMENTO DEI "GRANATI DI GALLINO" RACCONTATO DA SILVANO


UN SOGNO?

Mi chiamo Silvano Gallino (nonno Silvano per gli amici) e voglio raccontarvi una storia.

Un pomeriggio di un giorno di fine agosto del 1974 decisi di andare a cercar funghi in un bosco di faggi, situato nell’alto vallone del torrente Sessi; siccome quell’estate era stata discretamente piovosa, le premesse per un buon raccolto c’erano tutte.

Dopo un’ora di ricerca, il bottino superava già abbondantemente il chilo quando, improvvisamente, il cielo cominciò a rannuvolarsi: era il classico temporale estivo che si stava preparando.

Memore d’altre esperienze, essendo sprovvisto d’ombrello e mantellina, cercai subito un rifugio, e lo trovai sotto a una gran roccia sporgente situata su un cucuzzolo al margine del bosco; il temporale scoppiò all’improvviso accompagnato da lampi accecanti e tuoni assordanti che rimbombavano per la stretta conca della valle.

Dopo 15 – 20 minuti di pioggia scrosciante, sul terreno circostante cominciarono a scorrere rigagnoli d’acqua torbida che andavano a ingrossare il vicino torrente e quando pensavo che il temporale fosse finito, in lontananza e di fronte a me, udii un forte rumore: lì per lì non ci feci caso, pensando a un ultimo tuono.

Poi, quasi improvvisamente, un timido raggio di sole fece capolino tra le nuvole che si stavano diradando e andò a illuminare alcune rocce situate sul versante opposto della valle, a poche centinaia di metri da me.

Quando la foschia, residuo dall’acquazzone, iniziò a diradarsi, sul versante opposto del valloncello si stagliò il più bell’arcobaleno che io abbia mai visto: i colori erano limpidi, sgargianti e luminosi; mi pareva di poterlo toccare talmente sembrava vicino e concreto, vidi anche il punto da cui sembrava aver origine e mi godetti la scena per oltre dieci minuti estasiato.

Purtroppo poi si alzò una leggera brezza che disperse le nuvole, il cielo diventò terso e l’arcobaleno a poco a poco svanì; restai ancora alcuni minuti in quel posto, quasi a voler far persistere negli occhi quella visione incantata, che in ogni modo restò incancellabile nella mia mente.

Cessata l’estasi e tornato alla realtà ripresi a cercar funghi e ne trovai parecchi; poi soddisfatto, ripresi il sentiero e me ne tornai a casa.

Qui giunto, subito mia moglie Maria Vittoria, Nicola e Cristina (i miei figli) mi attorniarono per veder i bellissimi funghi trovati, li lasciai gustare il momento, poi narrai loro lo stupendo spettacolo cui avevo assistito.

Cristina, che a quell’epoca aveva sette anni, mi chiese se accompagnavo anche lei a vedere quell’arcobaleno; dovetti spiegarle che l’arcobaleno è un fenomeno naturale che occorre solo in determinate situazioni “quando un raggio di luce attraversa delle goccioline sospese nell’aria subisce una scomposizione nei colori che lo costituiscono: il risultato è l’arcobaleno” e quando è finito non rimane più nulla.

Quella sera feci una scorpacciata di funghi, più tardi andai a letto ma non riuscivo a prendere sonno, saranno stati i troppi funghi mangiati, oppure era l’emozione che ancora mi accompagnava?

Mentre mi rigiravo nel letto, dal fondo dei miei ricordi, cominciò a emergere una vecchia leggenda che mio nonno Martin mi raccontava quando ero piccolo.

Eccola: “Tanti secoli fa sulle pendici del monte Civrari ebbero a transitare un gruppo di soldati dell’esercito Longobardo, li accompagnava la loro regina di nome Matolda; purtroppo la Regina ebbe un malore e morì e fu seppellita con tutti gli onori su quei monti.

Siccome la regina portava con sé tutti i suoi preziosi, anche questi vennero sepolti con lei ma, durante la notte, un soldato infedele scavò in silenzio, prese i gioielli, li mise in uno stivale di cuoio e nascose il tutto nella cavità di una roccia lontano dall’accampamento. L’intento era di tornare in seguito a riprenderli; purtroppo il giorno seguente, durante una battaglia, perse la vita e da allora il tesoro restò celato su quelle alture, anche se i soldati fedeli alla Regina lo cercarono per lungo tempo.

Si narra pure che dopo i temporali, da questo tesoro nascosto, abbia origine uno strano fenomeno originato dai raggi del sole che, battendo sui preziosi cristalli ancora bagnati e lucidi per la pioggia appena caduta, sono rinviati verso il cielo dando origine a uno stupendo arcobaleno”.

Molte persone sono salite lassù dopo i temporali per localizzare il posto da cui partiva l’arcobaleno che stavano vedendo ma, purtroppo, esso si spostava con loro man man che si spostavano, rendendo così impossibile individuare un univoco punto d’origine”.

Pensai anche al fatto che gli antichi, non conoscendo le vere origini dell’arcobaleno, se lo spiegavano asserendo che il tutto aveva origine da un orcio di terra cotta ripieno di gemme preziose, illuminate dal sole.

Quella notte sognai di trovare grandi tesori e a detta di mia moglie, ebbi un sonno molto agitato, quando mi svegliai il primo pensiero andò a quello che era successo il giorno prima e ai racconti di mio nonno e, anche se non ci credevo, avevo in ogni modo una specie di presentimento che mi spingeva a non sottovalutare l’episodio ma dovetti soprassedere perché dovevo recarmi al lavoro.

Finalmente giunse il sabato, giorno di libertà, e partii per l’avventura.

Dopo due ore di camminata sui sentieri utilizzati dai pastori per raggiungere i loro alpeggi, arrivai a una baita abbandonata, alle cui spalle si ergeva una gran roccia: era il sito che avevo visto dall’altra parte del vallone il giorno del temporale.

Preso dall’emozione e dall’entusiasmo della ricerca presi a salire su quelle balze prestando attenzione a non scivolare, e non sapendo cosa cercare carpivo ogni indizio che mi comunicasse qualche informazione. Appena scavalcai una piccola crestina di roccia ebbi la rivelazione: di fronte a me c’erano le tracce di un piccolo smottamento (ecco spiegato il rumore udito il giorno del temporale), alcune pietre si erano staccate dalla parete ed erano franate a valle; il fenomeno aveva messo in evidenza una cavità che sino a quel momento era rimasta a tutti celata dalle pietre or cadute.

Andai più vicino e quello che vidi per poco non mi fece perdere l’equilibrio: davanti a me la cavità nella roccia riluceva come un forziere pieno di gemme preziose; alcune rosso rubino, altre verdi (sia chiaro sia scuro) e altre ancora gialle e tutte ben lavate dalla pioggia del temporale.

Restai parecchi minuti a contemplare quelle meraviglie pensando di aver trovato il TESORO DELLA REGINA MATOLDA, ma quando feci per prenderne un pezzo vidi che la maggior parte dei cristalli erano attaccati saldamente alla roccia e che solo alcuni piccoli pezzi erano già staccati dalla parete: li presi, li avvolsi nella camicia per evitare che si rompessero e li misi nello zaino.

A quel punto non riuscivo a capire la portata di quello che avevo scoperto, mi resi conto che in ogni modo avevo trovato un tesoro, un giacimento di minerali e non il TESORO DI MATOLDA; purtroppo a quell’epoca, di minerali non avevo gran conoscenza, non sapevo neppure bene il nome di quelli che avevo trovato.

Quando giunsi a casa feci vedere orgoglioso ai miei famigliari il bottino della giornata, l’entusiasmo e la curiosità di tutti era alle stelle, raccontai più volte quello che avevo visto, decidemmo di ritornare sul posto il giorno successivo attrezzati di tutto punto (un martello e uno scalpellino che sembrava un chiodo), per cercare di recuperare ancora qualche pezzo.

La giornata fu molto proficua, togliemmo con fatica parecchi pezzi facendo attenzione a non rompere i cristalli e quando ci ritenemmo soddisfatti, li incartammo singolarmente e facemmo ritorno a casa.

Il giorno seguente lo passai a spazzolare delicatamente i campioni con acqua e detersivo per i piatti, cercai pure di documentarmi scorrendo varie enciclopedie che avevo in casa per capire che minerali fossero; purtroppo le informazioni che riuscii a raccogliere furono abbastanza modeste.

Il martedì andai in libreria e acquistai un libro specifico, giunto a casa iniziai subito a sfogliarlo confrontandone le fotografie con i miei pezzi.

Finalmente la mia curiosità fu soddisfatta, sul libro si parlava ampiamente dei minerali tipici delle serpentine (la roccia in cui li ho trovati) e appresi allora che:

- I cristalli rossi erano dei granati e quelli da me trovati facevano parte del gruppo della grossularia varietà hessonite;

- Quelli verde chiaro, con i cristalli allungati e trasparenti erano delle vesuviane; capii anche che gli altri più piccoli, ma sempre trasparenti erano diopsidi;

- I grandi cristalli di color verde scuro appartenevano al gruppo degli epidoti;

- I cristalli del minerale giallo erano titaniti, un minerale nella cui composizione, come dice d'altronde anche il nome, c’entra il titanio.

Notai anche che: quasi tutti questi minerali si appoggiavano od emergevano da un letto di altri cristalli appiattiti, con contorno esagonale, di color grigio bluastro e talvolta con le superfici luccicanti. Questo minerale si chiama clinocloro.

Io e mia moglie eravamo felicissimi del ritrovamento, pur non comprendendone l’importanza e, desiderosi di sentire il parere di qualche esperto, ci recammo presso un gran negozio di minerali della zona. Portammo con noi una cassetta piena di campioni (non i più belli) per farli stimare.

Il negoziante, dopo aver osservato attentamente i campioni (circa 20) si disse interessato all’acquisto e mi offri 70.000 £ (35 € circa) per tutti i pezzi.

Rimasi abbastanza deluso, pensavo valessero molto di più, gli dissi che ci avrei pensato e uscii.

Appena fuori fui avvicinato da due signori (scoprii dopo che erano due collezionisti); mi dissero che, all’interno del negozio, avevano assistito alla trattativa e mi chiesero se fosse possibile dare un occhiata ai minerali, li soddisfeci: appena scoprii la cassetta, vidi nei loro occhi lampi di meraviglia e di interesse, uno iniziò a deglutire e all’altro iniziò a tremare leggermente la voce; anche se entrambi cercavano di non far troppo trasparire il loro interesse, si lanciavano occhiate messaggere.

Mi proposero l’acquisto di alcuni campioni offrendomi, per ogni pezzo, una cifra superiore alla valutazione complessiva del commerciante.

In quel momento capii l’importanza di quello che avevo trovato.

Ne acquistarono alcuni esemplari e dopo chiacchierammo a lungo, venni così a sapere che a Torino c’era un Gruppo mineralogico presso il Museo dell’università e che i soci si riunivano una volta alla settimana e che loro vi facevano parte; naturalmente se fossi voluto intervenire anch’io, sarebbero stati ben felici di presentarmi.

Arrivò la serata fatidica, preparai in una scatola da scarpe diversi pezzi ben incartati e andai al Circolo: appena entrai capii che la notizia era già corsa e fui accolto con calore e con curiosità. Mi invitarono a mostrare quello che avevo portato: appena iniziai a scartare i minerali i presenti si fecero attorno.

Vidi nelle loro facce: interesse, stupore, ammirazione, invidia, ecc.

Subito ci fu un’agitazione incredibile: chi voleva comperarne uno o più, chi discuteva per la priorità della scelta, altri mi proponevano di fare dei cambi, taluni cercavano di farmi parlare per capire da dove arrivavano tali bellezze; qualcuno guardava la matrice per individuare la zona di provenienza, in molti mi chiesero di poter venire a casa mia per veder gli altri campioni e ci fu persino qualcuno che si offrì di venire ad aiutarmi nell’estrazione mettendo a disposizione le attrezzature (trapani, martelli demolitori, martinetti idraulici) ed esperienza nel campo. Tutti mi chiesero da dove provenivano i pezzi, io dissi semplicemente che li avevo trovati in Val Susa, senza precisare ulteriormente la località.

Nei mesi successivi la Val Susa fu battuta quasi a tappeto, chi favoleggiava che i pezzi provenivano dalla zona di Cassafrera, altri dalla Lunella, altri ancora dalle montagne dell’Alta Val Susa; nessuno pensava al vallone del Sessi (forse era troppo vicino e a portata di mano), e io potei continuare tranquillamente a lavorare il giacimento in tutta tranquillità per oltre due anni.

Naturalmente dovevo fare attenzione a depistare gli interessati: a volte al mattino, quando in macchina partivo da casa, mi accorgevo che qualcuno mi stava seguendo, cambiavo allora destinazione e portavo a spasso le spie sul Rocciamelone o in altre località dalla parte opposta della valle, ben lontane dal mio posto.

In quei due anni, aiutato da mia moglie, e facendo uso esclusivamente di martello, scalpelli, mazza, piccone, palanchino, tanto lavoro e fatica ebbi modo di lavorare il filone cercando di togliere i pezzi che man man riuscivo a liberare dalla roccia incassante, facendo la massima attenzione a non danneggiare i cristalli: è mia opinione che ogni singolo pezzo è un capolavoro irripetibile della natura e come tale deve essere trattato e rispettato.

Diverse centinaia sono stati i campioni estratti, alcuni di livello eccezionale che ho ancora nella mia collezione e altri, altrettanto belli che sono confluiti nelle più prestigiose collezioni private e molti pezzi ben figurano in diversi musei di mineralogia, sia in Italia che in altre parti del mondo.

Dopo questo primo ritrovamento mi sono appassionato allo studio della mineralogia e della geologia e dalla ricerca ho avuto il piacere e la fortuna di scoprire ancora molti altri giacimenti sia in Val Susa sia in altre località.

Tra i principali minerali trovati c’è il quarzo, l’adularia, l’ilmenite, la bissolite, la clinozoisite rosa, le calciti verdi, ecc. dei quali trovai diversi campioni di eccezionale bellezza, sempre guidato da quel sesto senso che mi aveva ispirato la prima volta.

Questa storia sarà proprio vera? Oppure è stato tutto un sogno? Ma……….chi lo sa?

Vi posso dare un consiglio? Quando vedete un arcobaleno, pensate a Nonno Silvano e usate la fantasia.

Non dimenticate che la fantasia è come il “ pepe e il sale” essa dà sapore alla vita, anche quando si è vecchi!

Considerazione: se un analfabeta entra in una libreria che cosa può apprezzare dei libri? - le immagini e poco altro, non riuscirà in ogni caso a leggerli e capirne il contenuto. La stessa cosa capita a chi guarda un panorama se si è digiuni di nozioni di geologia e mineralogia: vedrà solo l’aspetto paesaggistico ma non potrà “leggerlo” e apprezzarlo nei suoi aspetti più nascosti.

Grazie arcobaleno che per “colpa” dei minerali mi hai dato lo stimolo per avvicinarmi prima, e apprezzare poi, tali scienze (anche se a livello amatoriale) e fare in modo che anch’io non sia più un analfabeta della natura.

Regione: Piemonte

Associazioni: ASSOCIAZIONE PIEMONTESE DI MIN. E PAL.,

Autore di pubblicazioni
Specie dedicata
Hall of fame
Universitario
Mineral dealer
Presidente di circolo
Concervatore

Tipo di collezione

Estetica
Sistematica
Nazionale
Regionale/topologica (Valli di Lanzo e Susa)
Singola classe o specie
Altro (minerali delle rodingiti)

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Numero di campioni: Da 0 a 500

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